Barack
intimidito in Vaticano davanti al carisma di Bergoglio
Michele
Brambilla
Qualcuno ha notato che durante l’incontro
tra Obama e Papa Francesco il
primo era raggiante, il secondo serio, compassato, con la faccia di chi sta vivendo
un momento tutto sommato «normale». Molti hanno osservato
pure che il presidente americano mostrava di essere
piuttosto in soggezione, e il Papa no.
Se
è così - e guardando le immagini pare proprio che sia così
- è forse la prima volta che un presidente degli Stati Uniti,
cioè colui che per definizione è l’uomo più potente
del mondo, avverte una specie di «stato di inferiorità»,
se ci si passa il termine,
davanti a un interlocutore.
È probabile che Obama, che già aveva
incontrato Papa Ratzinger, abbia avvertito, fin quasi a intimidirsi, tutto il carisma di
un uomo che sta stupendo il
mondo non tanto per quello che dice, ma per quello che vive e che ha sempre vissuto.
È ancor più probabile che Papa Francesco - pur con tutto il
rispetto e la consapevolezza
dell’importanza del suo interlocutore - non abbia sentito l’incontro di oggi più
importante di tanti altri incontri
con «gente normale»: poveri della sua
parrocchia di Buenos Aires,
penitenti che entrano in confessionale, malati senza speranza
di guarigione, genitori preoccupati per un figlio.
Si
parlerà molto, ovviamente, dei contenuti del colloquio tra Obama e il Papa. Sulle questioni di politica
internazionale, sul disarmo e sulla povertà, sulle cose che uniscono
e su quelle che dividono, ad esempio l’aborto e il matrimonio gay. È giusto, naturalmente, tener conto di
questi discorsi, che senz’altro ci sono stati.
Ma sarebbe sbagliato fare
come si fa di solito, cioè
considerare l’incontro di oggi come l’incontro
tra due capi di Stato. Obama lo è, un capo di Stato; il
Papa no. Sono due persone che viaggiano su
piani differenti. Uno si occupa delle
cose del mondo; l’altro delle cose
del mondo pensando che il mondo
non è l’ultima parola sulla vita.
Certo anche Obama,
per la sua storia, ha incarnato e incarna ancora una speranza.
Ma la speranza incarnata dal Papa, e riposta da miliardi di
uomini e donne in un «capo»
senza esercito e senza impero, è il segno di
qualcosa d’altro, di una risposta
non solo alle nostre domande penultime sul senso della
vita, ma anche alle ultime.