Il marcio di Armstrong e la giustizia italiana
Marco Ansaldo
Quando si dice che lo sport è nelle mani dei procuratori, bisogna chiarire se ci si riferisce ai manager che si occupano degli atleti o ai magistrati che indagano in 18 procure della Repubblica. Come dimostra la nostra inchiesta, non c’è una nazione che dia alla giustizia tanto lavoro quanto ne dà l’Italia. A scavare si trova di tutto: dal doping alla frode sportiva, dalla bancarotta fraudolenta alla falsa cittadinanza degli extracomunitari che ottengono con la truffa il passaporto negato ai figli degli immigrati finché non hanno compiuto 18 anni, anche se sono nati in Italia. Una mappa squallida che conferma come lo sport vada di pari passo con il Paese, nonostante si illuda di essere migliore.
Perché dovrebbe essere diversamente? Se il messaggio che passa dalla società è quello che conta avere soldi e successo, non importa con quali scorciatoie ci si arrivi, come potrebbe non contagiare il mondo in cui più che ogni altro si lotta per vincere? Semmai ci stupiamo che siano ancora in pochi a cadere in tentazione ed esistano molti dirigenti perbene e tantissimi giovani che seguono le regole, accettando i sacrifici che lo sport impone più di una volta perché, qualunque sia la disciplina che si sceglie, per eccellere bisogna fare i professionisti a tempo pieno, con il rischio di ritrovarsi a 30 anni con pochissimo tra le mani. Un problema è che l’affarismo è entrato pesantemente nello sport. E, con il denaro, gli affaristi. Troppe volte si chiudono gli occhi per non vedere. Nel calcio, ad esempio, il numero di presidenti con una condanna penale alle spalle è preoccupante eppure alcuni di loro ricoprono addirittura un ruolo istituzionale. Nelle altre Federazioni non va meglio. Quando Monti negò l’appoggio alla candidatura olimpica di Roma dicendo che temeva ruberie non si sbagliava: da anni non c’è stato un grande evento che non sia finito nel mirino della magistratura.
È un sistema che si inquina e fatica a ripulirsi da solo: non è un caso che i grandi scandali sulle partite truccate e le scommesse siano esplosi soltanto quando si sono mossi i pretori. Eppure in questo scenario squallido c’é la consolazione di registrare che su alcuni fronti la voglia di pulizia è più forte che altrove. Qui c’è una legge che sposta sul piano penale la frode sportiva, permettendo indagini approfondite. Qui c’è una lotta al doping come esiste solo in Francia e che non fa sconti: se fosse vissuto in Italia forse Armstrong sarebbe stato scoperto prima che negli Stati Uniti. E allora illudiamoci che il primato di inchieste giudiziarie sia dovuto anche alla voglia di non nascondere la polvere sotto il tappeto e che da altre parti invece lo facciano. Forse non è vero però è bello pensarlo.