Obama-Romney molti attacchi e poche idee

 

Maurizio Molinari

 

La Convention democratica di Charlotte si apre domani nel segno della demolizione pubblica di Mitt Romney così come quella repubblicana si è chiusa giovedì a Tampa indicando in Barack Obama un Presidente colpevole di errori tali da meritare il licenziamento. Su entrambi i fronti la strategia elettorale è basata sull’esaltazione dei difetti dell’avversario.

 

Il Team Obama ha già speso oltre 100 milioni di dollari in spot tv nei 12 Stati più in bilico per descrivere Romney come un evasore fiscale e uno speculatore senza scrupoli, espressione del capitalismo selvaggio, così come il Team Romney ha firmato una Convention dove la volontà di martellare l’etere con l’accusa a Obama di aver causato «23 milioni di americani senza lavoro» ha spinto dozzine di oratori a pronunciare discorsi-fotocopia, lasciando alla sola Condoleezza Rice il ricordo dell’11 settembre.

 

Dietro tale convergenza di approcci c’è la lettura della sfida che accomuna i due team: il democratico David Plouffe e il repubblicano Stuart Stevens ritengono che la gara resterà in equilibrio fino alle ultime settimane e dunque a prevalere sarà chi riuscirà a portare alle urne il più alto numero di propri sostenitori. I sondaggi confortano tale interpretazione: i candidati sono in quasi perfetto equilibrio da febbraio e l’effetto pro Romney della Convention di Tampa non sembra aver alterato di molto la situazione, anche perché gli incerti sono ridotti al 5 per cento. Per Grover Norquist, fondatore del movimento «Tax Reform» che ispirò Ronald Reagan, ciò implica che «il favorito è Romney perché gli incerti nel finale tendono sempre a preferire lo sfidante» mentre Larry Sabato, storico delle presidenziali, evoca la possibilità di una «ripetizione di Florida 2000» quando la Casa Bianca fu assegnata per 537 voti di scarto e Bill Schneider, politologo conservatore sulla liberal Cnn, parla di «stallo dovuto al fatto che l’America è polarizzata su Obama e nessuno appare disposto a cambiare idea». L’impasse nuoce a programmi e proposte perché strateghi, pollster e spot tv si concentrano sugli attacchi anziché sulle proposte. Obama promette di cambiare passo da giovedì sera, quando nel discorso di accettazione della nomination preannuncia l’intenzione di «disegnare il percorso dei prossimi quattro anni» con proposte concrete di misure e riforme capaci di rilanciare lo sviluppo economico mentre Romney e il vice Paul Ryan, in viaggio negli Stati in bilico, ribattono che presto sveleranno i particolari del «piano per creare 12 milioni di posti di lavoro» di cui hanno parlato dal palco di Tampa. In attesa delle rispettive mosse, l’America resta nel limbo di una campagna elettorale dove la conflittualità politica cela scarsità di idee e debolezza di leadership. Per Obama ciò significa non essere riuscito a «cambiare Washington» come si proponeva nel 2008 mentre nel caso di Romney implica la convinzione di poter vincere non sulla base di una nuova idea dell’America ma solo grazie allo scontento per i demeriti del rivale. Sapremo presto se le assise di Charlotte riusciranno a cambiare tale equazione.