Se Obama impara a vendersi

 

di GERARDO MORINA - Non più, come nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione del 2009, tono dimesso e mano tesa agli avversari alla ricerca di un impossibile compromesso. La rielezione ad un secondo mandato ha infuso sicurezza in Barack Obama. Meno di quattro anni e il presidente lascerà la Casa Bianca. Potrebbe adottare fin d’ora l’andatura strascicata di un’anatra zoppa, in fondo non deve più conquistarsi il voto degli elettori. Ma l’agenda è ambiziosa e Obama intende difenderla con il piglio deciso di chi va all’attacco e sa guardare al di della politica del momento. Il compromesso è tutt’altro che scontato, in presenza di una Camera dei rappresentanti a maggioranza repubblicana? Non importa, ragiona il presidente, prima le riforme a qualsiasi costo, caldeggiate e combattute con il vigore e la convinzione di chi non nasconde di avere un obiettivo grandioso: accomiatarsi da presidente, ma passare alla storia, come Lincoln. Lo si è visto la scorsa notte, quando Obama ha pronunciato, a Camere riunite, il suo annuale discorso sullo Stato dell’Unione, il primo da presidente rieletto. Economia, armamenti nucleari, controllo delle armi, riforma dell’immigrazione: questi i temi che hanno fatto da cardini all’intervento del presidente. Tre i punti cruciali in campo economico. La necessità di stimolare il mercato del lavoro ed evitare l’impatto negativo dei tagli automatici alla spesa federale (definiti «sequester») che entreranno in vigore il 1. marzo in assenza di un accordo con il Congresso. Risparmiare denaro pubblico senza però colpire il cuore pulsante dell’economia, ovvero quella classe media che ha costituito il cavallo di battaglia dell’ultima campagna elettorale del presidente. Inoltre, l’ennesimo invito, dopo il superamento del «fiscal cliff», ad aumentare le tasse per i redditi più alti. Proposte non da poco, ma che Obama ha saputo inquadrare nello stato di un’economia in ripresa, con una timida crescita del mercato immobiliare e di altri indicatori economici e pur di fronte a quell’8 per cento di disoccupati che per ora non accenna a diminuire. Novità,poi, in campo strategico-militare. Ridurre drasticamente l’arsenale nucleare, con un taglio di oltre un terzo delle testate. Obama è convinto che con la sua proposta di forti tagli, l’America possa risparmiare molti fondi senza compromettere in alcun modo la sicurezza del Paese. Due le armi di persuasione del presidente: raggiungere un accordo informale con Vladimir Putin su una cornice di tagli comuni, aggirando così la ratifica del Congresso, e in secondo luogo convincere quest’ultimo che sulle scelte nel campo degli armamenti non deve più pesare l’eredità della Guerra Fredda. Le sfide nucleari del XXI secolo si chiamano Corea del Nord e Iran. Il primo Paese ha annunciato proprio ieri di aver compiuto il suo terzo test atomico, il secondo sta sviluppando la tecnologia per costruire la bomba. Per fronteggiare questi pericoli, ritiene la Casa Bianca, non ha senso mantenere un potenziale adatto ad infliggere il cosiddetto primo colpo ad un avversario, come la Russia, con una capacità distruttiva pari a quella degli Stati Uniti. In quanto al controllo sulle armi, la questione è quanto mai attuale e delicata, dopo le numerose uccisioni di bambini avvenuti in scuole americane. Qui la sfida è complicata. Si tratta di difendere la validità del secondo emendamento, che assegna ad ogni americano il diritto di procurarsi un’arma e nello stesso tempo di combattere l’opposizione di chi è contrario ad ogni regolamentazione come molti democratici e in particolare la National Rifle Association, che riunisce chi fa, vende e compra armi negli Stati Uniti. Anche qui Obama intende giocare d’astuzia e, per garantirsi il sostegno del Congresso, non esita ad eludere la potente lobby delle armi, conquistando il consenso di Wal-Mart e di altri grandi rivenditori d’armi. Infine, la riforma dell’immigrazione. Nel 2011 gli «illegal aliens», ovvero gli immigrati cladestini, hanno toccato la cifra di 11 milioni e mezzo. Portarli alla piena cittadinanza è un percorso arduo, ma anche in questo campo Obama dimostra di sapere muovere le leve giuste e di sapersi vendere bene. Il Partito repubblicano si dice aperto ad una riforma sull’immigrazione soprattutto per rimediare agli squilibri demografici che l’hanno penalizzato alle ultime elezioni, con il 70% degli ispanici che ha votato per Obama. Ma il GOP pretende alcune garanzie. Che Obama non lesina: controlli più rigidi alle frontiere, multe salate per le aziende che assumono dipendenti privi di documenti e la richiesta a tutti i clandestini di pagare le tasse eluse durante il periodo di lavoro negli States.Non solo. Obama, per vendere la sua riforma, userà un’arma inoppugnabile: la regolarizzazione dei clandestini farà aumentare il PIL dello 0,8% l’anno per il prossimo decennio.